La Lampada della Conoscenza non-duale (Advaita Bodha Dîpikâ) - Shrî Karapatra Swami


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Descrizione

Un uomo si trova sdraiato su un letto; una volta addormentato, sognando, assume la forma di uccelli e di quadrupedi; oppure, il sogno lo porta a camminare lungo le strade di Benares o a vagare nel deserto di Setu; pur giacendo immobile, si trova a volare nell’aria, a precipitare in un abisso, a tagliarsi una mano e a osservarla. Durante il sogno non si dubita affatto che quanto succede non sia reale. Se un semplice sogno può rendere possibile quel che è impossibile (camminare per le strade di Benares, stando a letto), perché mai stupirsi del fatto che Màyà possa creare questo fantasmagorico universo?

Per rendervelo più chiaro, vi racconto una storia tratta dallo Yoga-Vàsishtha:

C’era una volta un re di nome Lavana della nobile stirpe dei Ikshavadu. Un giorno si presentò alla sua corte un mago che gli disse: «Maestà, vi mostrerò un prodigio, osservate!». Prese un flagello di penne di pavone e lo agitò di fronte al re. Il re si sentì stordito e si dimenticò tutto di se stesso. Gli apparve un cavallo; gli montò in groppa e partì per la caccia nella foresta. Dopo una lunga cavalcata, si sentì esausto e affamato. Ed ecco che gli si presentò una giovane di casta inferiore con in mano un piatto contenente cibo di qualità scadente. Spinto dalla fame, dimenticò ogni regola di comportamento e il suo senso di dignità e chiese di potersene cibare. La ragazza acconsentì di sfamarlo solo se avesse potuto diventare la sua legittima sposa. Il re fu subito consenziente; divorò il cibo e la seguì nel suo casolare ove vissero per anni ed ebbero due figli e una figlia. Stordito sul trono, il re, nel breve lasso di un’ora e mezza, visse una illusoria miserevole vita che durò numerosi anni.

Altre storie, simili a questa, furono narrate da Vasishtha a Rama per fargli comprendere il portentoso gioco di Màyà. Non c’è inganno che la mente non possa provocare e non c’è nessuno che non ne venga ingannato. Nulla può sfuggire al suo potere.

La mente è l’ape che dimora da sempre nel loto del cuore: incurante del dolcissimo miele della Beatitudine che stilla dal loto del cuore, è attratta dall’amaro miele che cola dalle percezioni sensibili, e se ne esce attraverso i cinque sensi; e anche quando, con il distacco, le porte dei sensi siano state chiuse, essa continua a pensare, preoccupata del presente e dei ricordi del passato, non cessando di costruire castelli nell’aria.

 

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